venerdì 28 dicembre 2018

DON PINUZZO DA BONEA.



" Più che alla tavolozza devi pensare alla tavola.."

Don Pinuzzo era il parroco del Santuario di Santa Maria Visita Poveri di Bonea a Vico Equense ed anche un apprezzato poeta. Durante la seconda guerra mondiale strinse una forte amicizia con il governatore americano di base a Vico, Michael Angelo Musmanno e con il pittore Antonio Asturi. Quando a guerra finita Musmanno invitò Asturi a seguirlo negli Stati Uniti prospettandogli un futuro ben remunerato e un facile successo alle Gallerie d'arte di New York, Don Pinuzzo preoccupato che Antonio ( che aveva famiglia) una volta giunto negli States cedesse alla corte delle belle signorine americane, gli si avvicinò e con fare deciso gli disse:" Più che alla tavolozza devi pensare alla tavola.."
Don Pinuzzo era molto conosciuto per i santini ''modificati" con una sua frase di auguri che a Pasqua e a Natale inviava ai parrocchiani di Bonea.


Per la cronaca, Antonio Asturi non partì per New York.

PM.
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lunedì 10 dicembre 2018

MONTE SAN COSTANZO - L'ANZIANO MONTE DAI CAPELLI BIANCHI



Il Monte San Costanzo a Massa Lubrense una volta era conosciuto, essendo la cima sprovvista di alberi, come Monte Canuto o Canutario ( bianco come i capelli di un anziano ). Sul suo vertice vi è la chiesetta di San Costanzo. La leggenda narrata dal Perisco è riportata da Gennaro Maldacea nel libro - STORIA di Massa Lubrense - vuole che i massesi riuscirono a trafugare via da Capri le spoglie di San Costanzo e le portarono a Massa dove lo dichiararono Santo Protettore. La regina Giovanna successivamente le diede in "proprietà" agli abitanti del casale di Termini. Un altra tradizione vuole che quest'ultimi per evitare che i massesi si riprendessero il corpo del Santo, per custodirlo in un posto sicuro, costruirono proprio sul Monte Canuto - "in un sito tanto alto e deserto" - l'attuale chiesetta.

pM
TI RACCONTO SORRENTO



lunedì 12 novembre 2018

RAMMAGLI, RAMMAGLIETTI, CASTAGNA E CASTAGNOLA.



IL VARO DI UNA NAVE ALLA MARINA DI META.





IL PRIMO RAMMAGLIO. 

Quando i carpentieri finivano di cingere di tavole lo scafo e il guscio del bastimento, si organizzava una festa: gli operai con un pezzo di legno realizzavano ( alla buona) il modellino della nave, modellino che provvedevano poi ad adornare con una ghirlanda di rammaglietti

(ossia dei mazzetti di fiori ) per portarlo in dono all’armatore che aveva commissionato l’imbarcazione.

Con il modellino in spalla, a mo di processione, tutte le maestranze si recavano sotto l’abitazione dell’ armatore, che li riceveva nel salotto di casa.



Qui i capi mastri gli mostravano la copia del bastimento, e in segno di buon auspicio gli regalavano un rammaglietto, in cambio ne ricevevano una somma di denaro più o meno consistente, somma che veniva lasciata in una fessura del modellino. Oltre ai soldi l’ armatore di solito regalava ai suoi operai anche prosciutto, caciocavalli, vino, e le sfogliatelle delle monache di CARUOTTO .



IL SECONDO RAMMAGLIO.


Quando il calafataggio (* operazione consistente nello stoppare le connessure del bastimento, impregnandole di pece e sego liquefatti per renderle impermeabili all’acqua) terminava le maestranze cingevano un pezzo di stoffa incatramato con dei fiori ( il secondo rammaglio) dopodiché appena alzate le ruote del bastimento,  giù alla marina si organizzava un'altra festicciola.





IL GIORNO DEL VARO.

Quando arrivava il giorno del varo il capomastro si avvicinava alla ruota di poppa, e lo benediceva
dicendo:

“ ‘Nomme d’’o Patre, d’ ‘o Figlio e d’ ‘o Spiritosanto. Beneritto Dio, ch’ ha miso ‘ncapo ò Capitano ‘e fà ‘stu bastemiento. I’ benerico chella primma, ch’ è benuto o’ legnammo ‘nterra a marina. I benerico ‘ngrolia ‘o punto, quanno avimmo miso tutt’ ‘o cuorpo dinto, Benemerito ‘ngrolia e ‘o punto, quanno avimmo aizata ‘a primma centa….” 
 E così in successione per tutte le parti della nave fino ad arrivare alla frase conclusiva con cui si chiudeva la benedizione: 

“ Puozze i’a levante e ‘a mezojuorno, e ‘a tramuntana, e puozze passare tutte le descrazie; e l’ urtema fosse chesta ccà ".







Dopo le benedizioni del capomastro, vi erano anche quelle del sacerdote, che assegnava a mo’ di battesimo anche il nome alla nave stessa, che di solito derivava o da quello di una persona prediletta o dal cognome di chi si era economicamente più esposto alla costruzione della nave: A’ Cafiero, la Ciampa Emilia etc.

Prima che lo scafo entrava in acqua, nel momento in cui veniva recisa l’ ultima trinche (*cavo) gli operai gridavano:

“Fuori castagna!” 
(*la castagna e la castagnola sono due pezzi di legno che servono a mantenere ferma la nave durante il varo.)

a questa frase il costruttore rispondeva:

“ ‘O masto ha perduto ‘a cuccagna.”

Quando la nave era finalmente in mare, tra i presenti iniziava la gara per accaparrarsi il cappello dell’armatore e del capitano. Chi vi riusciva si presentava poi ai rispettivi possessori per restituire il cappello ricevendo in cambio un regalo.



pM

FONTE:

LE VOCI DEL MARE di Roberto Vittorio Romano

lunedì 29 ottobre 2018

Gor'kij l' "amaro" che a SORRENTO trovò la dolcezza.





Aleksej Maksimovič Pežkov nato nel 1868 scrittore e pensatore russo, personaggio enigmatico e dai mille contrasti come lo pseudonimo con cui si firmava e che lo consacro', Gor'kij ( che in russo vuol dire “amaro”). Grande accusatore delle disuguaglianze della Russia degli Zar, che per questo lo costrinsero all'esilio a Capri, dove nel 1909 fondò la prima Università dei rivoluzionari russi. Nell'isola tanto cara a Tiberio successivamente si precipitò Lenin spaventato dalle voci giunte a Mosca delle lezioni capresi di fiera opposizione alla dottrina fin troppo ortodossa adottata dai bolscevichi una volta destituito lo Zar. 
Partita a scacchi tra Gor'kij, Bogdanov, e Lenin a Capri-Aprile-1908
Gor'kij con la figlia a Sorrento


Anche con Stalin furono più di una le divergenze e sono in molti a sostenere che dietro la morte del figlio e anche dietro la sua morte avvenuta nel 1936 ci sia la mano del regime staliniano. Tuttavia restano molte luci e anche tanti punti oscuri sulla sua vita; una vita indubbiamente vissuta in cui solamente durante i soggiorni a Sorrento a Villa il Sorito, dal 1928 al '33 Gor'kij, trascorrendo giorni felici con la famiglia riuscì a comprendere il senso della spensieratezza. Sorrento una città che lo scrittore russo scrisse di amare così tanto perché tanta era la gratitudine per quello che questo luogo aveva fatto per la sua anima.

Statua di Gor'kij - Abbascio 'o Monumento - Sorrento
FOTO tiraccontosorrento


PM
tiraccontosorrento.blogspot.it


martedì 16 ottobre 2018

SANT'AGNELLO fu sede del Consolato degli Stati Uniti d’America.




Francesco Saverio Ciampa nato a Piano di Sorrento l’ 11 Aprile del 1825 era un capitano e armatore. Le sue navi trasportavano arance, limoni,olio e grano della penisola che venivano venduti in ogni angolo del mondo e importavano cassette contenenti lattine di petrolio con cui venivano illuminate le strade sorrentine. 

Nel 1864 F.S. Ciampa decise di fondare anche la: DITTA SORRENTINA ESPORTAZIONI AGRUMI, e sfruttando le navi della sua flotta divenne uno dei principali fornitori di agrumi degli STATI UNITI d’AMERICA, tanto che si rese necessario ampliare il grande magazzino della ditta situato a VIA SAN SERGIO.


Questa enorme attività commerciale verso la fine dell' 800, fece nascere a S.Agnello -  allo scopo di snellire le pratiche burocratiche inerenti l’ esportazione degli agrumi all’estero -   una sede del Consolato degli Stati Uniti d’America.

La sede del Consolato,  fermamente voluta F.S. Ciampa ( che nel frattempo era diventato Sindaco di SANT’AGNELLO ) era ubicata nei pressi della sua abitazione in Via San Sergio al confine con il comune di PIANO DI SORRENTO.







FONTI: 

SANT’AGNELLO – Origini, luoghi e tradizioni –
di Franco Gargiulo



LE STRADE DI SANT’AGNELLO i luoghi i personaggi le storie…. e altro _
di Franco Gargiulo.

"La Madonna con la pistola" UN BANKSY A NAPOLI.



Oggi in Italia l'unica opera ufficiale di Banksy si trova a Napoli, in piazza Gerolomini nei pressi di Via dei Tribunali.
Questo stencil chiamato "La Madonna con la pistola" è ora protetto da una copertura per evitare che vada cancellato come l' altro capolavoro realizzato sempre a Napoli dall'artista di Bristol e che purtroppo è stato occultato dal murales di un writer napoletano.


pM

martedì 9 ottobre 2018

IL PATIBOLO DI SANT'AGNELLO.



Aggiungi didascalia


Nei pressi del Cimitero di Sant'Agnello nel luogo dove sorge la cappella di San Giovanni Battista a Vallarano, nei secoli scorsi vi era il patibolo per i condannati a morte. Qui come riportato nel "libro dei decreti della Confraternita di San Catello" il 7 settembre del 1607 vennero giustiziati due delinquenti : Fabritio Pane e Benedetto de Capuo.


pM


FONTE:

 LE STRADE DI SANT'AGNELLO i luoghi, i personaggi, le storie... e altro.
Di Franco Gargiulo.

foto: tiraccontosorrento.

mercoledì 5 settembre 2018

IL MARISCO, ZONA FRANCA DA DAZI E GABELLE




A Meta vi è uno scoglio ( ora inglobato nel nuovo pontile ) chiamato il MARISCO.

Su questo scoglio la LEGGENDA descritta  anche da  Jean Jacques  Bouchard (figlio di Jean segretario dei Re di Francia ) vuole che la Regina Giovanna si recava per incontrare i propri amanti e che proprio “In ricordo del piacere che provò su quel luogo, rese lo scoglio del MARISCO zona franca da tutti i DAZI e GABELLE.”
Per molti anni si racconta che migliaia di  imbarcazioni di mercanti, arrivavano da Napoli e da tutto il Regno per stipulare sullo scoglio del MARISCO contratti di vendita così da sfuggire al pagamento delle tasse dovute al Re.




FONTI:
LE VOCI DEL MARE di Roberto Vittorio Romano
Estratto da: Oeuvres de J.J. Bouchard par E.Kanceff, JOURNAL.

FOTO: LA NOSTRA STORIA (foto storiche della Penisola Sorrentina e dintorni)


giovedì 30 agosto 2018

SANTA MARIA DEL CASTELLO



In passato per sfuggire agli attacchi dei turchi e alle pestilenze, da Sorrento le persone si rifugiavano fin sopra a Santa Maria del Castello.

Oggi da Sorrento si giunge fin quassù per scappare dal caos e dal traffico cittadino.


giovedì 16 agosto 2018

LA TRANQUILLITA' DEL GIGANTE BUONO

“E pure (chi il crederebbe?) con tanti favori di che natura è stata a questi luoghi benigna, essi sono abbandonati da’ cittadini, non corteggiati da’ forestieri! Ma un giorno forse, e non è lontano, quando le noie della città non ci faranno più salvi in Castellammare o in Sorrento, noi ripareremo ne’ mesi estivi in questi monti amenissimi.” 

(Achille Gigante, Viaggio da Napoli a 
Castellammare, 1845)


PIANO DI SORRENTO E IL PALAZZO DEL BRIGANTE




Passando per la Via Savino a Piano di Sorrento, al civico 15, quasi accanto alla villa del Principe di Fondi, si può osservare un palazzo che fino a qualche tempo fa era conosciuto come il PALAZZO DEL BRIGANTE.
Esso apparteneva a LITTIERO RICCIARDI, uno dei capitani e armatori più conosciuti ai tempi dei Borboni. Nel giardino  di questo palazzo "leggenda" vuole che  per volere di Ricciardi vi sia la riproduzione di una grotta calabrese, dove c'è la statua di un brigante calabrese scolpito "con la pipa in bocca ed un fucile a trombone fra le gambe."


LA STORIA DEL BRIGANTE

Verso la fine del 1860 quando le truppe garibaldine stavano per piegare le ultime resistenze dell’ esercito borbonico, capitan RICCIARDI,  fu chiamato in gran segreto all’Arsenale di Napoli e qui gli venne comunicato che doveva portare in salvo a Malta il tesoro di FRANCISCHIELLO.
Caricati sulla  sua nave “IL SORRENTINO”, i bauli colmi di monete d’oro e d’argento, capitan Ricciardi raggiunse non senza difficoltà il porto de LA VALLETTA. Qui nonostante le reticenze del figlio Antonino che voleva trattenere per se parte del baule e nonostante la notizia ormai diffusa che Francesco II era scappato e che Garibaldi aveva invaso Napoli, Riccardi mantenendo fede alla parola data, consegnò nelle mani di un incaricato del Re delle Due Sicilie l’intero tesoro.

Ritornato a Piano il comandante non rivelò mai i motivi della sua missione tuttavia a ricordo della grande impresa di cui era stato protagonista e per sfregio al governo piemontese volle farsi costruire nel giardino di casa ( a Via Savino) una statua che rappresentasse uno dei simboli della resistenza del Sud, un brigante calabrese "con la pipa in bocca e il fucile a trombone tra le gambe". Ora non so quanto sia attendibile e realmente accaduta questa storia che ho letto nell' Antologia LE VOCI DEL  MARE ma mi piace credere che lo sia.

pM

FONTI:

-LE VOCI DEL MARE di R.V. ROMANO

-“Come un Sorrentino salvò il tesoro del Re di Napoli” di A.F. GUIDI articolo pubblicato in IL CORRIERE D’AMERICA, New York, 17 dicembre 1933.

lunedì 30 luglio 2018

VIA TORDARA E L' ASSALTO DELLE CAMICIE NERE


Durante il ventennio fascista in Penisola Sorrentina non tutti accettarono le limitazioni alla libertà e i soprusi attuati dal regime.
Un gruppetto di antifascisti per dimostrare la loro contrarietà alle camicie nere decise di radunarsi e di festeggiare ai COLLI DI FONTANELLE 
( Sant’Agnello) la festività dei lavoratori del 1°MAGGIO, ricorrenza abolita da Mussolini perché considerata sovversiva.
Tuttavia la loro impresa non passò inosservata ai camerata di Sorrento e dintorni, che messi al corrente da una soffiata del percorso dei “compagni”  si precipitarono armati dei manganelli d’ordinanza nei pressi di VIA TORDARA, una stretta stradina che da Sant’Agnello attraversa il RIONE DI TRASAELLA e porta fin sopra ai COLLI DI FONTANELLE.
Qui tesero un imboscata al gruppetto di antifascisti che mentre stavano riscendendo come aveva detto la “soffiata”  per VIA TORDARA di ritorno dai festeggiamenti, vennero assaliti,picchiati e purgati con l’ immancabile olio di ricino.
Tra di loro vi era anche un bambino di cinque anni che era il figlio di uno dei manifestanti, che senza pietà alcuna le camicie nere portarono nella Farmacia del paese, dove costrinsero minacciando di sfasciare le vetrine del negozio, il medico  di turno a somministrargli una dose di olio di ricino adeguata al peso e all’età.

pM.

Fonte
SORRENTO ‘43
Di Goffredo Acampora

sabato 28 luglio 2018

LA SFOGLIATELLA SANTA ROSA



La sfogliatella nasce nel 1700, quando una monaca del convento di clausura SANTA ROSA a Conca dei Marini prepara questo dolce con gli avanzi dell'impasto del pane. La madre superiore ne rimase estasiata e decise di vendere le sfogliatelle agli abitanti della costiera, che ogni giorno si recavano al convento di clausura e dove attraverso la ruota degli esposti ( dopo aver versato i soldi ) ricevevano la "Santa Rosa" ( o monachina) appena sfornata. La ricetta rimane segreta fino al 1800 quando Pasquale Pintauro ne entra in possesso ( qualcuno racconta grazie a una sua Zia monaca ). Una volta ottenuta la ricetta Pintauro trasformo' la sua Osteria in via Toledo a Napoli in una Pasticceria che grazie appunto alla "Santa Rosa" è diventata una delle più importanti del napoletano.


pM

mercoledì 18 luglio 2018

PADRE ROCCO, IL PADRE CHE FECE ILLUMINARE I VICOLI DI NAPOLI



"Egli era più potente a Napoli del Sindaco, dell'Arcivescovo, ed anche del Re. "

 (Alexandre Dumas)


Tra le molte figure del Settecento religioso napoletano, spicca quella di padre Gregorio Maria Rocco.


Era nato a Napoli nel 1700 da genitori di Massalubrense, Matteo ed Anna Starace.


Trasportato da grande vocazione, indossò presto l’abito domenicano per offrirsi ‘missionario cittadinesco’.


Caratterialmente irascibile, di lui si racconta che portava sempre con sé un bastone di legno dipinto di nero che all’occasione brandiva minaccioso.


Di solito si aggirava per luoghi malfamati, inveendo contro i recidivi ‘peccatori’ con la sua pittoresca eloquenza dialettale riboccante di invettive.


Era spesso invitato alla corte borbonica per ripetere le sue prediche agli ospiti ed ai principini.


Per il favore di cui godeva di lui fu detto essere:

 <<l’Uomo del popolo presso la Corte; e l’Uomo della Corte presso il popolo; l’arbitro della plebe presso il Sovrano; e l’arbitro del Sovrano verso la plebe>>.

Forte dell’ascendente che ebbe dapprima su Carlo e poi su Ferdinando IV, riuscì ad attuare alcune opere di pubblica utilità. Fu lui a suggerire la fondazione di un camposanto e dell’Albergo dei poveri; creò l’ospizio per le ragazze ‘pericolanti’ di S. Vincenzo Ferreri e i monti del Bambino Gesù e della Sostentazione.


A lui si deve anche il primo esperimento di illuminazione della città.

Per lungo tempo l’aveva invocata dal re, ma le pratiche erano state lunghe ed infruttuose.


<<Allora si tentò pure la pubblica illuminazione notturna, cui già sopperiva la pietà dei napoletani per impulso del benemerito p. Rocco, e se se fece anche il saggio nella via volgarmente detta ‘Spaccanapoli’ dalla Madonna dei Sette Dolori fino a Porta Nolana; ma per la grave somma occorrente al primo impianto, che fu calcolata per duc. 87283, spesa posta a carico dei proprietari, e per quella anche più grave di annui duc.150000 posta a carico degli inquilini per l’olio ed altre spese necessarie, ne fu deposto il pensiero e l’opera, con dispaccio del 29 settembre 1789, fu sospesa>>.


Ciononostante padre Rocco, pur di contrastare i banditi che sul far del buio assaltavano i viandanti rimuovendo le poche lampade ad olio esistenti per le strade, ricorse ad un gesto astuto. Erano i vicoli bui ad essere maggiormente esposti ai pericoli notturni, anche perché si prestavano meglio per la loro struttura ad attuare la famigerata tecnica della ‘fune’.


‘Mettere la fune di notte’, un modo di dire che ancora sopravvive nel lessico popolare, rappresentava una tecnica infallibile che veniva adoperata da almeno tre ladri complici tra loro. In due si acquattavano su ambo i lati del vicolo buio tendendosi una corda da un capo all’altro. Al passaggio del malcapitato viandante la sollevavano facendolo inciampare. Il terzo complice allora gli si lanciava addosso e lo derubava.


Facendo leva sul sentimento religioso popolare, padre Rocco,fece apporre immagini sacre sui muri delle case, sollecitando così i fedeli ad accendere a sera un lumino. In questo modo il buio non era più totale e rendeva meno infallibile la tecnica della fune.


Intimoriti dalla giustizia divina, i malintenzionati si guardarono bene dallo spegnere le lampade divenute sacre.

Lentamente le semplici immagini divennero edicole curate di varie dimensioni a seconda dell’impegno economico che i devoti potevano permettersi di sostenere.


Padre Rocco morì a Napoli nel 1782.


*ALLA SUA MEMORIA IL COMUNE DI MASSA LUBRENSE HA INTITOLATO UNA DELLE STRADE CHE CONDUCONO AL CASALE DELL'ANNUNZIATA






ESTRATTO da:
http://www.nuovomonitorenapoletano.it/

FONTI:
G. Doria, Le strade di Napoli, Napoli-Milano, 1943.


B. Capasso, Sulla circoscrizione civile ed ecclesiastica e sulla popolazione della città di Napoli, dalla fine del secolo XIII al 1809, in Atti dell’Accademia Pontaniana, Napoli 1882.

sabato 14 luglio 2018

LA ROSA MAGRA - LA PENSIONE DEGLI ARTISTI



Nell' ottocento una delle pensioni più frequentate a Sorrento da pittori,poeti e artisti era la Rosa Magra.

La Rosa Magra che divenne famosa in tutta Europa con l'appellativo di "Pensione degli artisti" situata al civico 170 sul Corso Italia
 ( dove tuttora una lapide ne ricorda i fasti del passato) ospitò tra gli altri : Giacomo Leopardi, Goethe, Byron, Shelly, Keats, Longfellow, Scott, Heyse ( che qui scrisse "Idillio a Sorrento" ) inoltre lo scrittore Ibsen nel 1867 mentre soggiornava alla Rosa Magra terminò il suo capolavoro: " Peer Gynt".


Curiosa ( e molto) la nota che il poeta francese Paul De Musset scrisse sul registro dei clienti, il 5 ottobre del 1856:

" Nell'albergo di Rosa Magra - Eppur non si fa cena magra- Nell'albergo di magra rosa - eppur contento ognuno riposa - E quando suona l'ora del partir - Lascia il denar e porta il souvenir!".
Pm

Fonte:
Sorrento e la sua storia.

IL CARDINALE SERSALE E LE VACANZE A VIA FESTOLA





Nato a Sorrento nel 1702, Antonino Sersale era uno dei cardinali più importanti del '700, partecipò infatti a ben tre CONCLAVI e in quello del 1769 stava per "uscire" Papa. Purtroppo il veto posto dall' imperatore d'Austria Giuseppe II gli precluse questa possibilità. A Sorrento la casa paterna era in Via San Cesareo ( civico 44 ) mentre quando in estate ritornava in vacanza in Penisola per riposarsi, il Cardianale Sersale si rifugiava sempre in una villetta in campagna sita in 
via Festola ( civici 4- 6) in uno slargo dove c'è "una volta e una fontana".
Pm

FONTE: Sorrento si racconta di A. Cuomo.
https://tiraccontosorrento.blogspot.com/

●Don Angelo Montorsi il prete che sconfisse Pacchiseo e la sua banda.●



●Don Angelo Montorsi il prete che sconfisse
Pacchiseo e la sua banda.●


Nei primi mesi del '900 quando da poco era stato nominato parroco di Priora, don Angelo Montorsi (nella foto) si rese subito conto che la situazione per gli abitanti del borgo era insostenibile. Infatti, tutti i contadini di Priora quanto ritornavano dal mercato di Sorrento, erano costretti a salire per la stretta strada che sale per il Monte di Sant'Antonio, e in un luogo detto PIZZETIELLO venivano puntualmente derubati dalla banda di Pacchiseo.


Il parroco inizialmente nelle sue omelie domenicali esortò la gente di Priora a ribellarsi ai malviventi e poi resosi conto che le parole da sole non bastavano, e che le rapine continuavano, decise di affrontare personalmente i banditi. Una mattina uscito dalla sagrestia si diresse correndo sul punto dove erano soliti appostarsi i banditi, trovatoli li affrontò a muso duro minacciando di denunciarli alla Stazione dei Carabinieri. Spaventati dal coraggio del prete, Pacchiseo e i suoi complici se la diedero a gambe levate e i contadini di Priora grazie a Don Angelo non subirono più nessun furto.

Pm

FONTE:
_LA PARROCCHIA DI SANT'ATANASIO VESCOVO
Tra storia, immagini e documenti
Di Marco Mantegna

lunedì 2 luglio 2018

Kodra E IL SUO OMAGGIO A SORRENTO.


Ibrahim Kodra è considerato uno dei massimi pittori albanesi, arrivato in Italia nel 1938 grazie all' interessamento dalla regina d'Albania, perfeziona la sua arte presso l'Accademia di Brera di Milano. Con il suo amico Ciro Agostoni apre il suo primo studio milanese, che in breve tempo riscuote un incredibile successo. Lo studio diventa ben presto il punto di ritrovo di numerosi artisti che avevano aderito al movimento antifascista chiamato la "Corrente". Più volte ospite della Penisola Sorrentina, dove tiene diverse mostre, omaggia la terra delle sirene con alcuni sui capolavori.

NELLA FOTO: "Omaggio a Sorrento"

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L' EDICOLA GIOVANNI CASOLA



Al Corso Italia ( civico 142) vi era la cartoleria Giovanni Casola , una delle prime edicole nate a Sorrento, la numero 3 per esattezza ( come si vede dal numero in alto a sinistra). Tuttavia l'edicola Casola aveva il primato di essere stata la prima ad ottenere l'autorizzazione a vendere anche giornali esteri, e per questo motivo ogni mattina era la meta obbligatoria di tanti turisti stranieri.

(Foto collez. A.PARLATO dal Libro: Sorrento vetrine che raccontano. )

14 e 37 i numeri di SANT'ANTONINO.

Quando si rese necessario dover dotare la Basilica di San Antonino di un numero telefonico, venne chiesto al parroco di allora (al tempo si poteva ancora fare) di scegliere quello più semplice per telefonare in Basilica, e il parroco scelse il 
14 ( giorno della festa del Santo) e il 37 ( che nella smorfia è associato a il monaco). 






domenica 24 giugno 2018

QUANDO L' HOTEL TRAMONTANO DIVENNE "IMPERIAL"



La zarina Marija Alexandrovna, moglie dello zar Alessandro II , nel 1873 si fermò un paio di mesi presso l'Hotel della famiglia Tramontano. La zarina che aveva alcuni acciacchi di salute da curare, su consiglio del medico di corte, scelse Sorrento per il clima mite e per l'abbondanza di giardini. Prima del suo arrivo l'amministrazione comunale fece allargare il Vico III Tasso (attuale Via Vittorio Veneto) per poi intitolarlo a suo nome, mentre dopo il suo soggiorno, l'albergo Tramontano venne insignito del titolo "IMPERIAL".

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martedì 19 giugno 2018

TIBERIO NERONE e LA SUA NERANO.



Tiberio Nerone
era un imperatore romano, quando nel 27 D.c. a 67 anni si "sfasterio' " di fare il sovrano se ne andò in pensione e decise di trasferirsi a Capri dove fece costruire Villa Iovis e dove secondo la tradizione usava la Grotta Azzurra come la sua piscina personale. Quando si allontanava dall'Isola Tiberio lo faceva solo per recarsi in una baia della vicina Massa Lubrense. Questo luogo gli piacque così tanto "per l'amenità dell'aria e per le delitie del mare e di terre" che lo fece abbellire con fontane e giardini, oltre a farci costruire alcuni edifici che permisero a lui e alla sua corte di amici di femarsi quanto e quando lo desideravano. Proprio in suo onore questa baia venne chiamata come la conosciamo oggi: NERANO (da Tiberio Nerone appunto).

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Fonte Storia di Massalubrense

sabato 2 giugno 2018

VICO DEI CORTELLARI, LA LYTTLE SANT’AGATA A NAPOLI e Il Pio Monte dei Poveri di Massa.


VICO DEI CORTELLARI, LA LYTTLE SANT’AGATA A NAPOLI.
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Nel XVI secolo i santagatesi erano famosi ed apprezzati per la loro arte di lavorare falci e coltelli. Così molti di loro per esercitare questo mestiere si trasferirono a NAPOLI  e comprarono casa tutti vicino in un vicolo dove avevano aperto le loro botteghe  nei  pressi di MEZZOCANNONE,  che venne chiamato:
VICO DEI CORTELLARI.

La comunità massese che si era stabilita nei pressi del porto di NAPOLI nel RIONE detto PORTA DI MASSA  e  quella dei santagatesi di VICO dei CORTELLARI diventarono sempre più parte integrante del tessuto sociale ed economico napoletano, tanto che nel 1554 vi fondarono: Il Pio Monte dei Poveri di Massa.
 Il principale scopo del PIO MONTE DEI POVERI DI MASSA era di sostenere i cittadini poveri che vivevano sia nella loro città di origine, sia a Napoli nei quartieri di Porto, degli Orefici e del Mercato. La prima dotazione del Monte fu di dodici ducati donati dal cittadino "Turbolo" il 15 giugno 1554. A questa donazione iniziale se ne aggiunsero altre di privati cittadini e un versamento annuale fisso di 20 ducati da parte dell'Università di Massa.
Oltre ad aiutare i poveri di Massa, il Monte aveva come scopo anche quello di far visita ai poveri e agli infermi, di riscattare i prigionieri cristiani caduti nelle mani degli infedeli e di fornire di dote le fanciulle povere.
L'amministrazione del Monte era gestita da quattro governatori, detti "Maestri", tre dei quali dovevano essere di origine massese con residenza in Napoli e uno era il sindaco della città di Massa. I governatori si riunivano la prima domenica di ogni mese nella Chiesa di San Pietro in Vinculis.


 Il patrimonio del Monte era costituito da lasciti, con le rendite dei quali, spesso venivano creati "Monti" separati o "Confidenze", la cui amministrazione dipendeva dal Monte di Massa. Tra i monti istituiti con lasciti ereditari se ne segnalano alcuni fondati nella seconda metà del '500, i quali avevano lo scopo di dotare fanciulle povere di Massa. Altri monti furono fondati nel corso del '600, quali il "monte Storace" nel 1613; il "monte Persico nel 1619"; il "monte de Mari" nel 1621. Oltre alle "Confidenze" o "Monti", il Monte di Massa amministrava un "Monte dei pegni" istituito da Propsero Turbolo nel 1586 con lo scopo di erigere una cappella nella chiesa dell'Annunziata. Turbolo stabilì che le somme restanti venissero impiegate a favore dei poveri. Un altro Monte fu quello denominato "Monte di Torca", istituito nel 1605 da Enrico Caputo, con il fine principale di celebrare messe e di distribuire doti ed elemosine ai poveri di Torca.
Nel 1590, il Monte dei poveri di Massalubrense fu dotato di un nuovo statuto, e nell'anno 1600, del legato di Salvatore Pastena. Un altro statuto di 22 capitoli fu stilato nel 1731, secondo il quale l'amministrazione del Monte sarebbe stata affidata ad otto persone, aggiungendo ai tre "maestri"e al sindaco di Massa, due coadiutori, un razionale e un segretario. L'amministrazione del Monte, già affidata nel XVII secolo ad alcuni commissari del Sacro Regio Consiglio e nel 1722, dopo una breve parentesi di autonomia, nuovamente a dei commissari, peggiorò notevolmente tra la fine del '700 e i primi anni dell'800 a causa della cattiva gestione e di numerose frodi.
Nel 1874, perduta definitivamente la sua autonomia, il Monte, insieme con il "Monte dei pegni" istituito da Prospero Turbolo e con il "Monte di Torca", confluì con altri simili enti nei "Monti di Pietà riuniti", la cui a amministrazione era affidata alla Congrega di carità, secondo la nuova normativa della pubblica beneficenza e funzionò fino al 1955, anno in cui si estinse.



FONTI:

  • ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI
  • STORIA DI MASSA LUBRENSE di RICCARDO FILANGIERI di CANDIDA


mercoledì 23 maggio 2018

CAVA MERLINO, IL PIETRO MICCA E I PONTONI.




TRATTO dal LIBRO:


"PUOLO un PAESE SI RICERCA"
di CLAUDIO ESPOSITO e RITA DI LEVA.

libro dedicato a chi:
" HA AMATO, AMA e AMERA' PUOLO."

Alla fine del 1800 la costa della BAIA di PUOLO venne interessata da una continua attività estrattiva. 
 Iniziata con i Fernez ed i Fogliotta che si erano limitati, per quanto si ricorda, all’estrazione della pietra calcarea utilizzata per la produzione della calce effettuata in loco nella Calcara (il grande edificio in tufo all’ingresso della cava) con l’acquisizione del territorio da parte della famiglia  Merlino, divenne una vera e propria industria offrendo opportunità di lavoro, in un territorio dove esisteva solo la pesca, l’agricoltura ed una sparuta marineria, a centinaia di persone che provenivano dall’intera penisola sorrentina. Vista la grande richiesta di lavoro accanto ai locali, molti immigrati, soprattutto sardi, trovarono impiego nella cava (i Zuddas, i Murreddai Migliorini). 



Alla CAVA ribattezzata appunto CAVA MERLINO vennero assunte  maestranze specializzate e qualificate (ingegneri minerari, amministratori contabili, capi operai, gruisti, minatori, carpentieri, cavapietre, manovali ed apprendisti), affiancate da una struttura autosufficiente con uffici amministrativi ed una propria officina specializzata (la forgia) dove carpentieri esperti costruivano o riparavano i carrelli per il trasporto delle pietre e dove i fabbri forgiavano i vari attrezzi occorrenti per l’attività estrattiva.













Man mano che il promontorio veniva rosicchiato, sulla spianata che si creava, veniva posto un reticolo di binari, necessari per lo scorrimento dei carrelli sui quali potenti gru a vapore caricavano gli enormi massi. I binari conducevano sia alle banchine d’imbarco dei pontoni, sia all’ attracco delle bettoline (battelli destinati al trasporto di pietrisco), sia al frantoio dove i detriti venivano trasformati in brecciolino per essere poi caricato sui paranzielli (velieri muniti di motore). 



IL PIETRO MICCA, l' UTILE e lo IOLANDA.
                                        
Il PIETRO MICCA, era un rimorchiatore a vapore acquistato dalla FAMIGLIA MERLINO in INGHILTERRA agli inizi del '900 e serviva a trainare i PONTONI (che erano delle grosse chiatte che trasportavano i binari necessari per l’ imbarco dei massi posti sui carrelli dagli operai ). Il PIETRO MICCA era affiancato da altri due rimorchiatori di ben più piccole dimensioni, l’ UTILE che trainava  la biga utilizzata per sollevare i massi caduti in mare o per sistemare la scogliere, e lo IOLANDA che invece trainava le bettoline utilizzate per portare via la sabbia dragata dal porto. 


I PONTONI

I pontoni si chiamavano: CAMPANIA, ASTI, SAVOIA. 

Quest’ultimo affondò nelle acque di Puolo a metà degli anni sessanta; mentre il CAMPANIA e l’ ASTI furono messi in disarmo e sostituiti con zatteroni a motore – IL BAYONNE e il SYRENE, due mezzi americani utilizzati dagli americani per lo sbarco in NORMANDIA.
Gli equipaggi dei pontoni avevano delle caratteristiche particolari, infatti gli imbarcati svolgevano varie mansioni ed erano un po’ marinai, un po’ operai, un po’ gruisti e ferrovieri a seconda delle operazioni che il mezzo svolgeva. 





Dagli inizi del ‘900 fino a metà degli anni settanta, nel periodo che andava da aprile ad ottobre, la vita degli abitanti del borgo era scandita dai ritmi legati all’attività della cava: il rumore prodotto dal frantoio, il fischio del capo operaio per l’inizio e la fine dei turni di lavoro, i tre squilli di tromba che avvisavano operai e popolazione l’imminente esplosione di una mina, il rumore del grosso compressore - posto nei locali all’ingresso della cava - che pompava aria ai martelli pneumatici che operavano lungo il costone roccioso, il martellare degli operai nella forgia, il fischio del Pietro Micca che chiedeva a qualche cutter ancorato nella baia di spostarsi al fine di effettuare la complicata manovra per l’attracco dei pontoni e la voce possente del capo-pontone che all’attracco chiedeva “‘O pont’ è lest’? Ammaina!” (il ponte è libero? ... ammaina!) e solo allora il ponte levatoio che era alla testata del molo veniva calato ed iniziavano le operazioni d’imbarco dei carrelli carichi di macigni. 



LA GALLERIA 
Periodicamente, ogni 4-5 anni, avveniva il grande evento: veniva fatta esplodere la galleria. Praticamente dopo una lunga operazione di scavo per la costruzione di una galleria cieca, che veniva effettuata generalmente a metà del costone roccioso, il tunnel scavato veniva imbottito con tonnellate di tritolo e fatto esplodere. Prima dell’esplosione i periti della ditta Merlino passavano per ogni casa prendendo nota anche delle più piccole lesioni negli stabili al fine di evitare rivalse non fondate a seguito di eventuali danni creati dall’esplosione.  I Comuni di Massa e Sorrento emettevano le relative ordinanze di sgombero delle abitazioni dell’intero paese e l’interruzione al traffico marittimo nella zona. L’esplosione veniva annunciata dai tre soliti squilli di tromba a distanza di un’ora l’uno dall’altro. La potente esplosione faceva scuotere la terra ed era avvertita fino a Meta, la collina veniva dilaniata e milioni di metri cubi di roccia calcarea rovinavano.

All’inizio delle attività per staccare i massi dal costone si utilizzavano piccole cariche di tritolo che venivano alloggiate in fori ricavati a colpi di scalpello e mediante l’utilizzo di acido muriatico che corrodeva il calcare. La prima volta che fu utilizzato il metodo della galleria, forse per imperizia dei minatori, i risultati furono deludenti. I vecchi ricordano che la galleria fece cannone ed i pochi massi che furono strappati alla montagna vennero scagliati, come da un potente cannone, in mare fino all’altezza dei promontori che delimitano la baia. 


Man mano che il promontorio veniva rosicchiato, sulla spianata che si creava, veniva posto un reticolo di binari, necessari per lo scorrimento dei carrelli sui quali potenti gru a vapore caricavano gli enormi massi. I binari conducevano sia alle banchine d’imbarco dei pontoni, sia all’ attracco delle bettoline (battelli destinati al trasporto di pietrisco), sia al frantoio dove i detriti venivano trasformati in brecciolino per essere poi caricato sui paranzielliI massi estratti furono utilizzati per la costruzione della diga foranea del porto di Napoli e di molti altri porti della Campania.
IL GRANDE BOTTO
Periodicamente, ogni 4-5 anni, avveniva il grande evento: veniva fatta esplodere la galleria. Praticamente dopo una lunga operazione di scavo per la costruzione di una galleria cieca, che veniva effettuata generalmente a metà del costone roccioso, il tunnel scavato veniva imbottito con tonnellate di tritolo e fatto esplodere. Prima dell’esplosione i periti della ditta Merlino passavano per ogni casa prendendo nota anche delle più piccole lesioni negli stabili al fine di evitare rivalse non fondate a seguito di eventuali danni creati dall’esplosione.  I Comuni di Massa e Sorrento emettevano le relative ordinanze di sgombero delle abitazioni dell’intero paese e l’interruzione al traffico marittimo nella zona. L’esplosione veniva annunciata dai tre soliti squilli di tromba a distanza di un’ora l’uno dall’altro. La potente esplosione faceva scuotere la terra ed era avvertita fino a Meta, la collina veniva dilaniata e milioni di metri cubi di roccia calcarea rovinavano.

All’inizio delle attività per staccare i massi dal costone si utilizzavano piccole cariche di tritolo che venivano alloggiate in fori ricavati a colpi di scalpello e mediante l’utilizzo di acido muriatico che corrodeva il calcare. La prima volta che fu utilizzato il metodo della galleria, forse per imperizia dei minatori, i risultati furono deludenti. I vecchi ricordano che la galleria fece cannone ed i pochi massi che furono strappati alla montagna vennero scagliati, come da un potente cannone, in mare fino all’altezza dei promontori che delimitano la baia. 






Con la fine delle attività il territorio della cava fu venduto ed i nuovi proprietari cercarono di effettuare una grossa operazione di speculazione edilizia, operazione bloccata sul nascere dall’azione intrapresa dall’Associazione Amici di Puolo che nel 1979, con una petizione popolare sottoscritta da migliaia di cittadini, riuscì a coinvolgere tutti i partiti presenti in parlamento ed bloccare la colata di cemento che avrebbe definitivamente rovinato la baia.