mercoledì 23 maggio 2018

CAVA MERLINO, IL PIETRO MICCA E I PONTONI.




TRATTO dal LIBRO:


"PUOLO un PAESE SI RICERCA"
di CLAUDIO ESPOSITO e RITA DI LEVA.

libro dedicato a chi:
" HA AMATO, AMA e AMERA' PUOLO."

Alla fine del 1800 la costa della BAIA di PUOLO venne interessata da una continua attività estrattiva. 
 Iniziata con i Fernez ed i Fogliotta che si erano limitati, per quanto si ricorda, all’estrazione della pietra calcarea utilizzata per la produzione della calce effettuata in loco nella Calcara (il grande edificio in tufo all’ingresso della cava) con l’acquisizione del territorio da parte della famiglia  Merlino, divenne una vera e propria industria offrendo opportunità di lavoro, in un territorio dove esisteva solo la pesca, l’agricoltura ed una sparuta marineria, a centinaia di persone che provenivano dall’intera penisola sorrentina. Vista la grande richiesta di lavoro accanto ai locali, molti immigrati, soprattutto sardi, trovarono impiego nella cava (i Zuddas, i Murreddai Migliorini). 



Alla CAVA ribattezzata appunto CAVA MERLINO vennero assunte  maestranze specializzate e qualificate (ingegneri minerari, amministratori contabili, capi operai, gruisti, minatori, carpentieri, cavapietre, manovali ed apprendisti), affiancate da una struttura autosufficiente con uffici amministrativi ed una propria officina specializzata (la forgia) dove carpentieri esperti costruivano o riparavano i carrelli per il trasporto delle pietre e dove i fabbri forgiavano i vari attrezzi occorrenti per l’attività estrattiva.













Man mano che il promontorio veniva rosicchiato, sulla spianata che si creava, veniva posto un reticolo di binari, necessari per lo scorrimento dei carrelli sui quali potenti gru a vapore caricavano gli enormi massi. I binari conducevano sia alle banchine d’imbarco dei pontoni, sia all’ attracco delle bettoline (battelli destinati al trasporto di pietrisco), sia al frantoio dove i detriti venivano trasformati in brecciolino per essere poi caricato sui paranzielli (velieri muniti di motore). 



IL PIETRO MICCA, l' UTILE e lo IOLANDA.
                                        
Il PIETRO MICCA, era un rimorchiatore a vapore acquistato dalla FAMIGLIA MERLINO in INGHILTERRA agli inizi del '900 e serviva a trainare i PONTONI (che erano delle grosse chiatte che trasportavano i binari necessari per l’ imbarco dei massi posti sui carrelli dagli operai ). Il PIETRO MICCA era affiancato da altri due rimorchiatori di ben più piccole dimensioni, l’ UTILE che trainava  la biga utilizzata per sollevare i massi caduti in mare o per sistemare la scogliere, e lo IOLANDA che invece trainava le bettoline utilizzate per portare via la sabbia dragata dal porto. 


I PONTONI

I pontoni si chiamavano: CAMPANIA, ASTI, SAVOIA. 

Quest’ultimo affondò nelle acque di Puolo a metà degli anni sessanta; mentre il CAMPANIA e l’ ASTI furono messi in disarmo e sostituiti con zatteroni a motore – IL BAYONNE e il SYRENE, due mezzi americani utilizzati dagli americani per lo sbarco in NORMANDIA.
Gli equipaggi dei pontoni avevano delle caratteristiche particolari, infatti gli imbarcati svolgevano varie mansioni ed erano un po’ marinai, un po’ operai, un po’ gruisti e ferrovieri a seconda delle operazioni che il mezzo svolgeva. 





Dagli inizi del ‘900 fino a metà degli anni settanta, nel periodo che andava da aprile ad ottobre, la vita degli abitanti del borgo era scandita dai ritmi legati all’attività della cava: il rumore prodotto dal frantoio, il fischio del capo operaio per l’inizio e la fine dei turni di lavoro, i tre squilli di tromba che avvisavano operai e popolazione l’imminente esplosione di una mina, il rumore del grosso compressore - posto nei locali all’ingresso della cava - che pompava aria ai martelli pneumatici che operavano lungo il costone roccioso, il martellare degli operai nella forgia, il fischio del Pietro Micca che chiedeva a qualche cutter ancorato nella baia di spostarsi al fine di effettuare la complicata manovra per l’attracco dei pontoni e la voce possente del capo-pontone che all’attracco chiedeva “‘O pont’ è lest’? Ammaina!” (il ponte è libero? ... ammaina!) e solo allora il ponte levatoio che era alla testata del molo veniva calato ed iniziavano le operazioni d’imbarco dei carrelli carichi di macigni. 



LA GALLERIA 
Periodicamente, ogni 4-5 anni, avveniva il grande evento: veniva fatta esplodere la galleria. Praticamente dopo una lunga operazione di scavo per la costruzione di una galleria cieca, che veniva effettuata generalmente a metà del costone roccioso, il tunnel scavato veniva imbottito con tonnellate di tritolo e fatto esplodere. Prima dell’esplosione i periti della ditta Merlino passavano per ogni casa prendendo nota anche delle più piccole lesioni negli stabili al fine di evitare rivalse non fondate a seguito di eventuali danni creati dall’esplosione.  I Comuni di Massa e Sorrento emettevano le relative ordinanze di sgombero delle abitazioni dell’intero paese e l’interruzione al traffico marittimo nella zona. L’esplosione veniva annunciata dai tre soliti squilli di tromba a distanza di un’ora l’uno dall’altro. La potente esplosione faceva scuotere la terra ed era avvertita fino a Meta, la collina veniva dilaniata e milioni di metri cubi di roccia calcarea rovinavano.

All’inizio delle attività per staccare i massi dal costone si utilizzavano piccole cariche di tritolo che venivano alloggiate in fori ricavati a colpi di scalpello e mediante l’utilizzo di acido muriatico che corrodeva il calcare. La prima volta che fu utilizzato il metodo della galleria, forse per imperizia dei minatori, i risultati furono deludenti. I vecchi ricordano che la galleria fece cannone ed i pochi massi che furono strappati alla montagna vennero scagliati, come da un potente cannone, in mare fino all’altezza dei promontori che delimitano la baia. 


Man mano che il promontorio veniva rosicchiato, sulla spianata che si creava, veniva posto un reticolo di binari, necessari per lo scorrimento dei carrelli sui quali potenti gru a vapore caricavano gli enormi massi. I binari conducevano sia alle banchine d’imbarco dei pontoni, sia all’ attracco delle bettoline (battelli destinati al trasporto di pietrisco), sia al frantoio dove i detriti venivano trasformati in brecciolino per essere poi caricato sui paranzielliI massi estratti furono utilizzati per la costruzione della diga foranea del porto di Napoli e di molti altri porti della Campania.
IL GRANDE BOTTO
Periodicamente, ogni 4-5 anni, avveniva il grande evento: veniva fatta esplodere la galleria. Praticamente dopo una lunga operazione di scavo per la costruzione di una galleria cieca, che veniva effettuata generalmente a metà del costone roccioso, il tunnel scavato veniva imbottito con tonnellate di tritolo e fatto esplodere. Prima dell’esplosione i periti della ditta Merlino passavano per ogni casa prendendo nota anche delle più piccole lesioni negli stabili al fine di evitare rivalse non fondate a seguito di eventuali danni creati dall’esplosione.  I Comuni di Massa e Sorrento emettevano le relative ordinanze di sgombero delle abitazioni dell’intero paese e l’interruzione al traffico marittimo nella zona. L’esplosione veniva annunciata dai tre soliti squilli di tromba a distanza di un’ora l’uno dall’altro. La potente esplosione faceva scuotere la terra ed era avvertita fino a Meta, la collina veniva dilaniata e milioni di metri cubi di roccia calcarea rovinavano.

All’inizio delle attività per staccare i massi dal costone si utilizzavano piccole cariche di tritolo che venivano alloggiate in fori ricavati a colpi di scalpello e mediante l’utilizzo di acido muriatico che corrodeva il calcare. La prima volta che fu utilizzato il metodo della galleria, forse per imperizia dei minatori, i risultati furono deludenti. I vecchi ricordano che la galleria fece cannone ed i pochi massi che furono strappati alla montagna vennero scagliati, come da un potente cannone, in mare fino all’altezza dei promontori che delimitano la baia. 






Con la fine delle attività il territorio della cava fu venduto ed i nuovi proprietari cercarono di effettuare una grossa operazione di speculazione edilizia, operazione bloccata sul nascere dall’azione intrapresa dall’Associazione Amici di Puolo che nel 1979, con una petizione popolare sottoscritta da migliaia di cittadini, riuscì a coinvolgere tutti i partiti presenti in parlamento ed bloccare la colata di cemento che avrebbe definitivamente rovinato la baia.






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