venerdì 16 febbraio 2018

TOMMASO ANELLO, Il Sorrentino che sfidò l’Inquisizione.


TOMMASO ANELLO, Il Sorrentino che sfidò l’Inquisizione.
“Ai popolani di Napoli che nelle tre oneste giornate del luglio MDXLVII, laceri, male armati e soli d’Italia francamente pugnando nelle vie, dalle case contro le migliori armate d’Europa tennero da sé lontano l’obbrobrio della Inquisizione Spagnola imposta da un imperatore fiammingo e da un papa italiano e provarono anche una volta che il servaggio è male volontario di popolo ed è colpa dei servi più che dé padroni“

La storia di Napoli è piena di episodi di rivolta e ribellione contro poteri autoritari che troppo spesso amministravano senza dare ascolto al popolo. L’icona della risposta popolare ai soprusi del potere è Masaniello (Tommaso Aniello d’Amalfi), che nel 1647 con la sua banda di “alarbi” organizzò una rivolta contro le nuove imposte che il duca d’Arcos, il viceré del tempo, istituì sulla frutta, alimento fondamentale nella scarsa dieta del popolo basso. La storia ci spiega come nacque e morì il brevissimo “regno” di Masaniello.

 Poco, invece, si è scritto riguardo la vicenda di un altro rivoluzionario ante-litteram; esattamente cento anni prima della rivolta capeggiata da Masaniello, un ufficiale municipale sorrentino, Tommaso Anello, simbolo della ribellione ai soprusi della chiesa e del occupatore spagnolo


Nel 1547 il viceré don Pedro Alvarez de Toledo, famoso per notevoli modifiche all’urbanistica della città (costruzione di Via Toledo e dei quartieri Spagnoli, pavimentazione delle principali strade cittadine), decise di introdurre l’Inquisizione “alla maniera spagnola”, un’esasperazione delle sanzioni normalmente inflitte dal Santo Ufficio. Le nuove regole morali e religiose furono affisse alle porte del Duomo il 12 maggio, ma Tommaso  Anello o Aniello di Sorrento,  ( che lo storico Baldacchini identifica invece con il nome di Tommaso Agnello della costa sorrentina) a capo di una rivolta contraria alle nuove norme, stracciò e buttò via l'editto davanti a una folla di popolani. Nel giro di pochissimo tempo fu arrestato, ma la rivolta invece di placarsi andò crescendo grazie all’aiuto di varie personalità di spicco del tempo, Cesare Mormile, Giovanni di Sessa e Ferrante Carafa che spartirono in tre bande il popolo affinché si dividesse alla ricerca del reggente.

 I rivoltosi lo trovarono nella zona di Santa Chiara e dopo averlo accerchiato lo indussero a revocare l’arresto di Anello. Intanto in altre parti della città avvennero vere e proprie battaglie fra gli alabardieri spagnoli e il popolo in armi richiamato dal suono di allarme delle campane di San Lorenzo.

 Gli animi si placarono solo dopo la diffusione della notizia della scarcerazione del capopopolo. All’uscita del carcere della Vicaria, Anello fu caricato in groppa a un cavallo e portato in corteo per tutta la città, che acclamò il simbolo della ribellione ai soprusi della chiesa e del occupatore spagnolo.
TRIBUNALE DELLA VICARIA (NAPOLI)

 Il 17 maggio l’eletto Domenico Terracina, in precedenza in accordo col viceré riguardo l’introduzione della nuova forma di Inquisizione, decise di fare marcia indietro e dichiarò di essere addirittura risoluto a combatterla. La ribellione del maggio 1547, divenne nella sua breve evoluzione, un moto indipendentista e si protrasse fra alterne vicende fino in Agosto, quando le truppe spagnole riuscirono ad avere sotto controllo l’intera città. Il bilancio dei tumulti fu di 600 morti e 112 feriti di parte spagnola e 200 morti e 100 feriti di parte napoletana, in più molti palazzi furono dati alle fiamme, compresa Rua Catalana, quartier generale delle truppe spagnole. La rivolta di Tommaso Anello riuscì a posticipare di sei anni l’entrata in vigore dell’Inquisizione, il primo autodafé, infatti, si svolse nel 1553 dinanzi al duomo senza alcuna protesta quando il viceré don Pedro era già morto da un anno.

 Pierpaolo De Pasquale

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